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02/2011

MalusI, Il messaggio 3

domenica 27 febbraio 2011

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All’epoca egli stesso non seppe interpretare correttamente i fatti, secondo me il più saggio dei maghi morì senza averli mai compresi del tutto, per quanto mi riguardava, forse, fu meglio così. Penso che il suo cuore fosse troppo turbato dal sangue che sgorgava dalla terra e dalla spaventosa voce del demone, per capire che la chiave del mistero era in quel timido balbettio che seguì, era la voce di Penumbra.
Per fortuna, almeno, comprese che doveva intervenire, così convocò d’urgenza il Grande Raduno dei Druidi nella sacra foresta di Brivium. Mandò le sue colombe ai quattro angoli della terra per radunare i membri del Grande Raduno sparsi nelle contee e regni più lontani della Terra di Mezzo. Egli stesso partì immediatamente alla ricerca del prode principe Randolf di Sonnholm, che come altre volte l’avrebbe aiutato nell’impresa, erano diretti verso un luogo lontano fuori dai confini della Terra di Mezzo, perché come diceva nel messaggio inviato agl’altri vati « La notte si sta svegliando ».
Lungo la strada fu raggiunto da una singolare notizia, alcuni abitanti delle lontane isole di Kajahil raccontavano d’avere visto numerosi draghi volare intorno alle vicine montagne dei Corni dei Demoni, quasi a formare degli stormi. Gilduin liquidò frettolosamente l’accaduto come poco rilevante, attribuendo l’assembramento di draghi alla probabile morte del vecchio Tages che da tempo immemorabile si annidava tra quelle rocce. Questo fu, probabilmente, il primo errore che commise, perché le cose non stavano esattamente come aveva pensato, ma d’altronde chi avrebbe potuto immaginare una realtà che non apparteneva agli uomini.

I Corni dei Demoni, posti oltre il mare all’estremo nord, si chiamano così perché sono dei massicci rocciosi molto alti e scoscesi di materiale friabile, sembrano due corni, sono irraggiungibili per gli uomini e da sempre gradito rifugio dei draghi. Da diversi giorni i draghi ripetevano quella strana danza volando intorno alla seconda cima, giungevano da ovunque, pur essendo esseri di notevoli dimensioni visti da lontano ed in rapporto alla montagna potevano davvero sembrare degli stromi d’uccelli. 
Tra gli ultimi giunse un giovane drago dalla pelle scura e le scaglie lucenti, le ali ricoperte da pelle forte ma sottile, quasi trasparente. Pochi battiti furono sufficienti perché la possente apertura alare lo facesse librare tra le correnti. Sorvolò la cima più in alto degli altri, dopo di ché discese con una dolce planata a spirale verso l’apertura della caverna posta in prossimità della vetta. Con gli artigli posteriori si aggrappò ai bordi del precipizio e cautamente sbirciò all’interno poco illuminato. L’antro era pieno di fumo in lieve e costante movimento per via del fiato dei draghi. Le pareti erano lucide ed il suolo ricoperto d’oro che scintillava ad ogni respiro infuocato.
“ Amico che ascolti, Adranos, ti ho chiamato, vieni ti stiamo aspettando” lo chiamò una voce stanca e rauca all’interno. Timoroso Adranos entrò, fece alcuni passi, con un elegante movimento del lungo collo in segno di riverenza, posò la testa al suolo.
Dinanzi, adagiato su un imponente cumulo d’oro, giaceva Tages il più anziano dei draghi, ormai incapace di muoversi. Il corpo deformato dalla vita e dalle malattie, era di colore grigio chiaro con chiazze verdognole, le scaglie d’osso che l’avevano coperto sembravano impietrite, gli artigli spezzati dalla vecchiaia, non aveva nemmeno la forza di aprire gli occhi. Adranos col corpo prostrato alzò e riabbassò più volte il capo, come in una danza di corteggiamento tra cigni; accanto aveva altri quattro draghi che fecero altrettanto, per poi ritirarsi in riverente silenzio nell’attesa che il vecchio parlasse.
“ C’è molta irrequietudine. I nostri hanno percepito l’accaduto. Sono turbati a causa di ciò che gli stolti uomini stanno per fare“. Tutti ascoltavano la sua voce senza parole, che parlava al cuore. Sbirciò Adranos dagli occhi semichiusi.
“Persino tu: l’indomabile, sei venuto” Adranos ritrasse il capo in segno d’imbarazzo, ma ebbe l’ardire di domandare quel che tutti volevano sapere e che era causa di tanta irrequietudine.
“ Gli uomini stanno distruggendo il mondo, creano orrori su orrori. La nostra antica Madre Terra è in lutto” il vecchio rispose.
“ Ho percepito una novità tempo addietro. Ho ascoltato da lontano i suoi primi palpiti ed il mio stanco cuore ha esultato, ho udito il suo vagito e la mia anima ha ripreso a volare. Noi anziani abbiamo scelto il suo nome: sarà Penumbra, perché tra luce e tenebre volerà, immune ad entrambe, affinché ci riporti ciò che è stato rubato dagli umani. Nostra Madre ci offe una possibilità. La nascita di Penumbra era stata prevista… da tempo lontano, ed è giunta nel momento più opportuno”, alitò una pallida nube di fumo verso Adranos.
“ Tu sarai il suo tutore, suo maestro e sua ombra. Hai ucciso molti uomini, ne conosci la malvagia insidia, dovrai essere il suo protettore ed in questo loro…” indicò con gli occhi gli altri presenti “ Ti aiuteranno, in caso di necessità verremo tutti in vostro aiuto”. Sputò fuoco retrocedendo la testa e sollevandola, lasciando per un attimo trapelare la potenza che doveva avere posseduto in gioventù. Riprese fiato e proseguì.
“La fine degli umani ha avuto inizio, se Penumbra dovesse morire e gli uomini conservare un altro strumento di distruzione… Faremo ribollire le viscere della terra, i vulcani con le ceneri offuscheranno il Sole. Pioverà fuoco e le loro città arderanno. La terra si spezzerà. Faremo salire le acque degli oceani, annegheremo le pianure. Infine come uragano e tempesta scenderemo dalle nostre montagne, seguendo il nauseante odore della loro carne putrida, annienteremo i superstiti, col veleno e le malattie li decimeremo ed infine col fuoco purificatore li distruggeremo. Dalle loro ceneri rinascerà una nuova Madre. Una Madre incontaminata, senza più figli maledetti.” Abbassò di nuovo la testa e stanco riprese.
“ A noi non è lecito commettere lo stesso errore degli uomini: non possiamo interferire con la Natura, per questo è necessario mandare avanti Penumbra, affinché liberi gli uomini dalla loro stessa follia. Interverremo solo in caso estremo” guardò i cinque prescelti che aveva dinanzi: Adranos l’indomabile per il quale batteva il suo vecchio cuore; Moros il possente dal corpo verde scuro, che da solo poteva sostituire un esercito di draghi; Nyx silenziosa e nera come un serpente, nell’impresa avrebbe portato le inseparabili e letali figlie, Lachesis, Atropos e Klotho; Enyo nervosa e famelica, che a stento riusciva a tenere fermo il guizzante corpo bronzeo dai mille riflessi metallici emessi dalle armi in battaglia ed infine Erebos anch’egli scuro, ma incorporeo, come l’oltretomba da cui proveniva, era difficile capire dove avesse inizio o termine.
Tages chiuse gli occhi e con un sottile alito di fuoco li congedò.

Malus I, Il messaggio 2

martedì 22 febbraio 2011

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Il vecchio vate era un po’ pensieroso, nei giorni scorsi sul prato erano più volte comparse delle misteriose rose bianche, appena aveva cercato di toccarle si erano dolcemente richiuse ed erano scomparse, il ché costituiva un evento anomalo che lo aveva incuriosito.
Stava ancora rimuginando sul fenomeno, quando inaspettatamente vide l’intera collina ricoprirsi nuovamente di rose, ma questa volta erano rosse come il sangue. Gilduin sorpreso, emise un lungo sbuffo di fumo, non era mai accaduto che un unico genere di fiori coprisse l’intera collina, per giunta di quel colore… Prese a soffiare un vento caldo, era fastidioso gli seccava la gola, mise via la pipa e si alzò, non gli piaceva: il vento si era levato improvviso, come le rose.
Preoccupato, Gilduin passò tra le rose dirigendosi verso la quercia Ovest, dove nel tronco cavo c’è una piccola fonte d’acqua incantata. I ramoscelli spinosi s’impigliavano nelle vesti, come se lunghe mani artigliate tentassero di trattenerlo, strappando via i vestiti dai rovi, si fece largo tra gli arbusti e quando ebbe finalmente raggiunto la quercia, ed entrato nel tronco cavo, vide con sgomento che la sorgente era rossa di sangue, ebbe un brivido. Cercò di ricordare se in passato avesse sentito narrare di qualcosa del genere, ma non gli venne in mente niente. Di fronte a sé, in quello che era stato il suo posto preferito, c’era solo una pozza rossa, si chinò e annusò il liquido pastoso, era realmente sangue. Cosa poteva avere cambiato l’acqua pura in sangue? Percosse con forza il suolo col suo bastone da druido, pronunciando un contro incantesimo, ma non cambiò niente, se avesse usato un comune manico di scopa sarebbe stata la stessa cosa; aveva la sgradevole sensazione che la sua magia nei confronti di quel fenomeno non sortisse alcun effetto, fosse semplicemente inesistente. Con che cosa aveva a che fare?
Brandendo il bastone, sua unica arma contro quell’oscuro maleficio, si chinò cautamente sulla sorgente nelle cui acque così spesso aveva spiato gli avvenimenti del mondo, non vide nemmeno la sua immagine riflessa, difficile specchiarsi nel sangue, se si ha il cuore puro. L’unica cosa che riuscì a carpire a quella linfa fu un urlo distorto dalla lontananza ripetuto più volte.
« Uhtfolga, Uhtfloga » era la lontana eco della voce di un demone, che tradotto nella nostra lingua significa qualcosa come: colui che vola nella penombra, proseguiva biascicando un oscuro indovinello:
« Volavit volucer sine plumis, sedit in arbore sine foliis… conscendit illam sine pedibus, assavit illum sine igne ».
L’angoscia si fece largo nel suo cuore, in che modo le forze demoniache potevano essere riuscite a contaminare a tal punto la sorgente incantata?
Sgomento Gilduin uscì, e rimase impietrito da ciò che si trovò dinanzi: gli alberi avevano perso le foglie, non vi era più un filo d’erba su tutta la collina. Era come se la morte contenuta in quella voce malefica avesse impregnato le radici delle Querce Sacre, qualcosa stava nascostamente sconvolgendo il nostro mondo.
Il vento adesso sollevava gli steli secchi che erano stati erba e lambiva i sassi. A memoria d’uomo non era successo niente di simile. La natura sembrava moribonda, quello era un infausto presagio di morte, se non proprio la morte stessa. Per la prima volta in vita sua Gilduin si fece prendere dal panico, si agirò inquieto tra i rovi secchi del santuario, pregando, urlando formule magiche e percotendo il suolo col bastone magico, usò tutti gli artifici a lui noti per salvare quel luogo sacro, ma non servì a nulla. La collina si era trasformata in un’altura scarna, sembrava che la vita non l’avesse mai lambita.
Alcune ore dopo, quando Gilduin era ormai prossimo alla disperazione, il fenomeno della voce si ripeté, la seconda volta però non fu un urlo, ma un impercettibile sussurro che canterellava l’antico indovinello.
 « Volavit volucer sine plumis, sedit in arbore sine foliis…. Conscendit illam sine pedibus, assavit illum sine igne…» e poi ripeté tutto di nuovo.
Gilduin si precipitò verso la fonte urlando « Chi sei? ». L’indovinello si ripeté e poi come un timido balbettio disse ancora.  « Penumbra », gli sembrò quasi di cogliere una lontana risatina, poi tutto svanì nel silenzio.
 La collina si ricoprì nuovamente d’erba, fiorirono le rose, gli alberi germogliarono drizzando imperiosamente le possenti chiome al cielo e gli uccelli ripresero a cinguettare e svolazzare giocosi come se niente fosse accaduto. La natura risplendeva superba e spavalda mostrando all’uomo ciò che non era in grado di capire.
Il vecchio Gilduin era confuso, per un attimo credé di avere sognato, ma non era così, si era trattato di un avvenimento reale che era durato diverse ore, non riusciva proprio a capire, andò a controllare ad una ad una le querce, era tutto normale, tutto tranquillo.

Quel fango su di noi, piccolo commento a Saviano

domenica 20 febbraio 2011

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Alle volte gironzolando sul web mi imbatto in testi notevoli. Ieri ho trovato l’articolo di Roberto Saviano sulla Repubblica del 28.01.11 del quale allego il link di riferimento al suo sito:

http://www.robertosaviano.it/articoli/quel-fango-su-tutti-noi/

Profondo e acuto come suo solito, però ho pensato di aggiungere alcune osservazioni generali che mi sembrano dovute per il mio modo di vedere le cose e la mia esperienza diretta, forse ultimamente ne ho subite troppe e sono diventata pessimista: vedo tutto nero, per questo quando Saviano parla di calunnia come strumento di regime e tipico dei regimi, mi sembra che stia sbagliando, ma per difetto.

Sarebbe bello potere dire che al potere ci sono cattivi senza scrupoli che hanno ideato e ben oleato ma macchina della calunnia, ma temo non sia così, per esperienza so che la calunnia è da qualche anno lo strumento preferito di qualsiasi forma di potere in Italia, piccola o grande che sia, come condannare allora i tirapiedi di Berlusconi, in un Italia che purtroppo non conosce altro?

Il caso Boffo è emblematico, ormai si sa che era solo una montatura, ma a parte un po’ di rumore da parte di qualche giornalista, è stato punito qualcuno per avere distrutto una persona? Qualcosa è cambiato nella percezione collettiva? VI è stata una reale e concreta reazione a quell'attacco più che riuscito alla libertà di stampa? E badate bene che era coinvolto anche il Vaticano, e mi sembra che la calunnia continui ad essere usata quale unico e solo instrumentum regni.

Per quanto mi riguarda, penso che purtroppo in Italia, che ci piaccia o meno, si sia perso  ciò che una volta ci contraddistingueva ed aveva fatto la grandezza della nazione italiana: la capacità,il genio, la ricerca del genio, il merito come lo si chiama adesso, che è un elemento profondamente legato alla verità, è la verità che non si vuole più, potrebbe portare avanti gli altri e non te, la si vuole mercanteggiare, piegare alle ideologie, vendere, annientare, confondere con la democrazia, una finta democrazia ben inteso, dove chi ha più consensi ha ragione. La verità legata al consenso popolare, o dei potenti che è la stessa cosa, viene svuotata della sua effettività, così come pure la democrazia ridotta ad una patetica acclamazione dei poteri, dove vince chi la racconta più grossa e ha più acclamatori o clienti. Se anche tutti gli italiani votassero che in cielo non c'è il sole, non per questo in cielo non rislenderebbe il sole!

Secondo me questo è dovuto al progressivo venir meno negli ultimi decenni della capacità, messa da parte perché scomoda e sostituita da uomini di partito, lobby, insomma gente utile, di conseguenza da anni in Italia abbiamo dimenticato cos’ è il confronto, e soprattutto che si tratta di un dare e ricevere, conosciamo solo lo scontro più basso, più vergognoso, troppo deboli e insicuri per affrontare gli altri, troppo traballanti perché nella maggior parte dei casi la posizione che è stata raggiunta non è stata ottenuta per merito ma per raccomandazione, non c’ è la passione per quello che si fa, non c’ è il guardare in alto sfidando non gli altri, ma soprattutto se stessi, e allora… allora si ha paura,  appena si vede uno sguardo poco convinto  scoppia il panico e la paura rende cattivi, perché ci si rende conto che si può perdere tutto, ben sapendo che in realtà non lo si è mai posseduto realmente. Per questo secondo me le università italiane stano colando a picco nelle classifiche mondiali, perché le nostre sono bravure proclamate e tenute alte ( in Italia s’ intende non all’estero) con metodi che niente hanno da invidiare alla camorra, e chiunque non applaude o per un qualche motivo non  è simpatico ai baroni viene distrutto, preferibilmente appunto con la calunnia. Allora quello che mi chiedo io è se come dice Saviano quel fango viene gettato su di noi, se è una macchina del regime pronta a colpire o se non è piuttosto una consuetudine ben oleata e diffusa a tutti i livelli compresa la sinistra e pertanto in un certo senso normale, solo che Berlusconi lo fa in modo più plateale? Difficile gettare fango su chi ne fango ci sguazza.

Vorrei solo aggiungere alla fine che questi metodi sono più efficaci dell’omicidio, che ha in sé il grave rischio di fare diventare la vittima un eroe, un santo martire, e in una nazione di santi è un pericolo non da poco, mentre la calunnia distrugge la persona condannandola all’oblio, chi si ricorda di uno schifoso? Nessuno.

E così non resta altro che fare le valigie ed andare, o meglio scappare, all’estero e costruire e realizzare lì quello avresti voluto fare in Italia, quello avresti voluto donare all’Italia, ma per averlo solo voluto fare ti hanno distrutto. Intanto come dice Benigni l’Italia ha perso il sorriso, è che ha perso la passione, e ormai non è che uno sputare veleno gli uni contro gli altri, e così non si può vivere, no non si può.

Malus I, Il messaggio 1

giovedì 17 febbraio 2011

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Tempo addietro un vecchio druido e caro amico di nome Gilduin, ripensando a quanto era accaduto, paragonò la nostra storia ad un’antica leggen­da che narrava di due principi, che per via delle loro eccezionali gesta ricevettero dagli Dei l’immenso dono di potere esprimere un desiderio, entrambi chiesero l’eterna giovinezza e con questa l’im­mortalità.
Gli Dei però, nella loro somma saggezza, reputando tale dono troppo grande per dei semplici mortali, posero una condizione e pretesero in cambio da entrambi l’oggetto più prezioso che possedevano. Al più anziano chiesero la splendida spada Gramr, che gli aveva permesso di salvare le persone a lui più care. Al più giovane chiesero il fiore re­galatogli dall’amata al momento dell’addio, che egli stringeva ancora in mano.
Nessuno dei due principi consegnò agli Dei l’oggetto richiesto, probabilmente in quell’istante entrambi compresero la vanità del proprio desiderio, o forse il prezzo preteso dagli Dei era troppo alto persino per l’immortalità. Fu così che lasciarono i sacri antri del Wal­halla per fare ritorno alle loro lontane dimore.
Dopo di loro però, come nella nostra storia, si presentò agli Dei un giovane drago, il cui nome era Penumbra, offrì agli Dei la propria vita in cambio di un fiore… gli Dei gli sorrisero…

 

Il messaggio


Fu proprio il vecchio gilduin, il primo a comprendere che stava per accadere qualcosa di grave. All’epoca era il custode del santuario delle Quattro Querce, il sacro cuore pulsante del nostro mondo.
Il tempio delle Quattro Querce non fu eretto da mano umana, almeno è ciò che ci piace credere, fu un prodigio della natura stessa che fece nascere queste imponenti quattro querce ai bordi della collina in corrispondenza con i punti cardinali, creando in tal modo un luogo sacro di rara bellezza. L’Antico Popolo che abitava queste terre prima di noi veniva qua per adorare le quattro querce come se fossero divinità, non escludo però che questo luogo sia ancora più antico, alcuni dicono risalga al tempo dei costruttori dei cerchi di pietre, altri ancora agli stessi Wanen. Le querce sacre ormai sono le uniche custodi della verità. Qui è come se tutti gli esseri vegetali avessero un’anima che reagisce agli avvenimenti del mondo, compresi quelli umani, cambiando di colore, di specie vegetale e d’intensità a seconda di ciò che turba o allieta la nostra grande Madre, perciò quello che altrove sono le stagioni, qui sono le vicende del mondo, le sue gioie e i suoi dolori.
 La carica di custode è di grande prestigio, di conseguenza implica gravi responsabilità e tanta solitudine, ma è molto ambita dai venerandi saggi perché ricoprirla significa essere a diretto contatto con la Madre Terra e i suoi più intimi segreti.
Un ruolo nel quale si sono succeduti nei secoli alcuni tra i più illustri druidi, molto arduo da ottenere poiché elettivo e non sono gli uomini a scegliere, bensì il santuario stesso ricoprendosi di gigli bianchi quando il prescelto lo calpesta, quindi per gli ambiziosi è perfettamente inutile affannarsi per ottenerlo, gli è irraggiungibile, ma il vecchio Gilduin non era mai stato ambizioso, era un puro di cuore ed amava sinceramente il santuario.

Seduto davanti alla casa del custode seminascosta tra le gigantesche radici della quercia Sud il saggio Gilduin fumava tranquillamente la sua lunga pipa e si godeva la mattinata guardando da lontano i contadini della valle recarsi alla fiera lungo il sentiero che si snoda fiancheggiando il fiume

Grande coraggio per la dignità delle donne

lunedì 14 febbraio 2011

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Alle volte di fronte al coraggio e all'impegno degli altri ci si sente piccoli e totalmente innattivi, per questo abbiamo pensato di pubblicare e raccogliere qui l' intervento di suor Eugenia Bonetti.

http://tv.repubblica.it/copertina/suor-eugenia-bonetti-riprendiamoci-dignita/61991?video

Inizio: Malus I, Il racconto del giullare 1.

domenica 13 febbraio 2011

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Il racconto del giullare


Chi è costui, vi chiederete voi, ecco mi presento: sono un giullare e quanti mi conoscono, o mi hanno visto solo per pochi minuti, credo siano pronti a giurare che sono pazzo.
Folle, nel vano tentativo di sfidare la magia col solo ausi­lio dell’intelletto. Sognatore, perché credo nella grandezza dell’uomo. Male­detto, perché non affido le mie speranze ad un raggio di Sole. Dannato, perché ho cercato di cancellare i colori dell’arcobaleno lasciando solo il rosso del sangue. Il mio sangue sulle mie mani. Eppure, vi fu un tempo lontano in cui fui principe, figlio di grandi re, in se­guito divenni guerriero, ma le mie armi preferite furon e saranno le parole, messaggere della mia essenza che è sempre stata un’anima di giullare.
Da questa collina verdeggiante guardo le foglie degli alberi vibrare al fresco respiro del vento, e mi torna in mente il suono dei flauti, dei liuti, della mia amata arpa spensierato sottofondo delle chiassose feste delle corti, ma ogni volta che cerco d’abbandonarmi ai ricordi piacevoli, irrompe il fragore scellerato dei campi di battaglia, lo sguardo spietato dei condottieri con i pugni insanguinati stretti sulle spade, ed è inutile negarlo, io ero tra loro.
 Vedo i fianchi della collina dorarsi nella quiete del tramonto, le miriadi di fiori che la ricoprono assumere tinte calde, madide di vita, sento il loro profumo abbracciarmi con forza come a volere diventare la mia stessa linfa vitale; nonostante ciò… ogni sera mi ritrovo qui, seduto sotto questa maestosa quercia, rivolto a nord col cuore proteso verso i confini settentrionali di questo mondo, verso funesto Niflar, il Paese delle Nebbie, che divide la terra degli uomini, dei vivi, il Midgard, dalla terra dei morti, l’Hel. Scorgo in lontananza la bruma scivolare sottile tra gli alti boschi venirmi incontro cercando me, figlio del Paese delle Nebbie che non mi hanno abbandonato; ballavo, cantavo, scherzavo, ma il mio cuore era dominato dalla nebbia, non c’era piacere umano che potesse dissolverla, allontanarla da me, già perché allora non volevo ammettere nemmeno questo: la mia natura elfica e non umana.

Alcune evanescenti saghe c’identificano con gli elfi neri, ma nelle notti d’inverno, quando la bruma arriva a coprire le cime degli abeti, il vento canta il nostro antico nome: eravamo i Nibelunghi, adesso siamo pochi errabondi senza un passato che non sia una confusa leggenda nella stessa legenda.
Io, solitario principe di una stirpe maledetta che fu artefice della propria tragedia, detentrice d’allettanti tesori che altrettante rovine causarono, cosa mi aspetto intravedere nascosto dietro nebbia? Perché bramo ciò che torna portando con sé lo strazio di ricordi incancellabili? Eppure non è solo questo che la bruma reca silente nel crepuscolo, forse vi sto raccontando questa storia, perché penso che sia giunto il momento di tornare indietro nella parte più buia del mio passato e confrontarmi con ciò che più temo: me stesso, riaprendo cicatrici che il tempo non può sigillare e la mente non ha la forza di cancellare, sembrerebbe non avere senso, eppure solo così, forse, riuscirò finalmente a ritrovare la mia anima di giullare persa nelle nebbie dell’odio, essa stessa tenue ombra, nebbia tra la nebbia.

Sempre meglio cominciare dall'inizio

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 -Ciao Gentile Lettore qualcuno ci ha fatto notare...- 16
- Veramente era protest - 18
-Ordunque, dicevo che ci è stato fatto garbatamente notare che dato abbiamo aperto un nuovo blog e che il nostro romanzo è stato quasi interamente riscritto, forse era il caso di ricominciare a pubblicare le nostre epiche imprese fin dall'inizio-
-Se per questo siamo stati anche tacciati di censuranei confronti dello scemo che racconta il tutto -32
- Per fare capire al gentile lettore: lo scemo a cui si riferisce il nostro capo sarebbe il giullare-27
- Esatto, ciò non toglie che l'introduzione l'avremmo saputa fare meglio noi, e non riusciamo a capire perchè l'autore abbia scelto lo scemo-
- Per dare espressione al tormento interiore... - 16
- Sti c**** il tormento interiore...-32
- Gentile Lettore per evitare il degenerare della discussione interrompiamo qui il collegamento e pubblichiamo anche l'inizio, come da più parti richiesto Ciao- 27

Umberto Eco al Ministro Tremonti

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Abbiamo pensato che per maggiore comodità del lettore forse è meglio pubblicare direttamente la lettera aperta di Umberto Eco al Ministro dell'Economia Tremonti.

Gentile ministro Tremonti,

scrivo a Lei perché qualcuno, probabilmente uno sciocco e un suo nemico, le ha attribuito la frase che la cultura non si mangia, o qualcosa di simile. Non mi risulta che Lei, a salvaguardia della Sua reputazione, abbia energicamente smentito, e quindi dovrà portarsi dietro questa leggenda metropolitana sinché vive. Si figuri che io mi trascino dietro la diceria che scrivevo le domande per Lascia o Raddoppia, e benché chi le scriveva davvero abbia a suo tempo pubblicamente smentito; ma tant’è, ritrovo questa notizia ora qui ora là, e pazienza, perché al postutto, non c’era nulla di vergognoso a inventare la domanda sul controfagotto o quella sull’uccello sul quale, a detta di Mike Bongiorno, era caduta la signora Longari. Ma cadere sulla cultura è disdicevole.

E quindi indirizzo questa lettera a Lei e, se Ella è vergine di tanto oltraggio, la passi a chi di competenza – e amici come prima.

Una sola cosa voglio precisare. Fingendo che l’autore dell’infausta boutade sia stato Lei, parlerò non come si parla a un poeta ma come si parla a un economista, o addirittura a un diplomato in Scienze economiche e commerciali. Parlerò cioè in termini di Soldi, non di Valori spirituali. Farò finta che Dante e l’università, Raffaello e il liceo classico e scientifico, Morandi e Calvino, siano solo una pania per i gonzi (mi pare che lei a proposito degli insegnamenti umanistici abbia parlato un giorno di aria fritta). Non importa, mi chiederò solo quanto si mangia con Raffaello e Giuseppe Verdi.

Dobbiamo ovviamente chiarire, se vogliamo parlare in termini economici di «consumi culturali», cosa si intende per «cultura»; e non mi occuperò dell’«accezione antropologica» del termine (cultura come insieme di valori e comportamenti) per cui esiste una cultura del cannibalismo, una cultura mafiosa, o una cultura del velinismo berlusconiano. Parlerò di cultura nei termini più banali, come di produzione creativa (pittura e letteratura, musica e architettura), di consumo di questa produzione, di organizzazione dell’educazione (scuole di ogni grado) e di ricerca scientifica.

In termini economici il Louvre, il Metropolitan Museum of Art, la Harvard University (e tra poco quella di Pechino) sono imprese che fanno un sacco di soldi. Credo che, bene amministrati come sono, facciano un sacco di soldi anche i Musei vaticani. Un sacco di soldi potrebbero fare anche gli Uffizi o Pompei, e sempre mi domando come mai l’Italia, di cui si dice che abbia circa il 50% delle opere d’arte esistenti al mondo (per non dire del paesaggio, che non è male), abbia meno indotto turistico della Francia o della Spagna, e naturalmente di New York. C’è qualcosa che non funziona, qualcuno che non sa come far soldi (e mangiare) con la cultura nazionale.

New York non è la città dove si fa la politica degli Stati Uniti (quella è Washington), non è la città o lo Stato dove risiedono le maggiori industrie della nazione (è niente rispetto al Texas o alla stessa California); eppure quando si parla degli Stati Uniti (e quando i turisti acquistano pacchetti per voli charter e sette giorni allo Hilton) si pensa a New York. Perché il prestigio di New York è dato dai suoi scrittori, dai suoi musei, dalla sua moda e dalla sua pubblicità, dai suoi quotidiani e riviste, dalla gente che va al Carnegie Hall o ai teatri off Broadway, per cui farà sempre più opinione nel mondo il «New York Times» che l’ottimo e rispettabilissimo «Los Angeles Times». Si badi che così non la pensa la maggioranza degli americani, che ritengono New York una Babilonia fatta di italiani, ebrei e irlandesi, ma così pensa il resto del mondo e il prestigio degli Usa si basa sulla cultura newyorkese.

L’esercito degli Stati Uniti (sempre vincitore nei film di Hollywood) non sbaraglia il nemico in Vietnam, in Afghanistan, in Irak, ma gli Usa vincono (in prestigio ) a New York. Sì, lo so, poi c’è il resto dell’economia che tiene nei vari Stati, ma suppongo che anche quando l’economia cinese avrà sconfitto quella americana i cinesi si rivolgeranno ancora al mito di New York. Con la cultura gli Usa mangiano.

Pensi a cosa è successo con Cesare Battisti. Un manipolo di intellettuali francesi (non tutti dei più grandi) ha deciso di difendere Battisti come una vittima della dittatura, manifestando completa ignoranza delle cose italiane e considerando, come accade talora ai peggiori dei nostri cugini d’Oltralpe, il resto del mondo come repubbliche delle banane. Bene, questo esiguo manipolo d’intellettuali ha convinto il governo brasiliano là dove il governo italiano non c’è riuscito. Sarebbe accaduto lo stesso se al governo ci fossero stati, che so, Andreotti o Craxi? Non so, sta di fatto che il mito dell’intelligencija francese ha vinto su quello della cultura delle veline (e mi spiace, per una volta tanto ero solidale col governo in carica perché rappresenta pur sempre il nostro paese e deve difendere, almeno all’estero, la dignità di quella magistratura che sputtana in patria).

Insomma, anche in termini monetari e di influenza politica (non calcolo neppure il peso di dieci premi Nobel), con la cultura si mangia. So benissimo che non abbiamo soldi per sostenere università come Harvard, musei come il MoMA o il Louvre, però basterebbe cercare, e ferocemente, di non buttare via il poco che abbiamo.

Certo che, se in quel poco non ci crediamo, abbiamo perso in partenza. Non si mangia con l’anoressia culturale.

Umberto Eco al Ministro Tremonti

sabato 12 febbraio 2011

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Noi siamo per la cultura, ma non quella in senso vago alla quale si aderisce per moda senza pensarci più di tanto, ma di suo sostegno ed inpegno concreto, a questo proposito pubblichiamo un link di una lettera aperta di Umberto Eco al nostro ministro dell'economia Tremonti.
Alle volte bisogna parlare chiaro!

http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=11516&catid=42&Itemid=68

La Vecchia Osteria 3

giovedì 10 febbraio 2011

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La prima a riprendersi fu proprio Sophie, che riassettandosi i riccioli farfugliò.
« Che diavolo era? »
« Sarà solo un modo di dire, ma temo che tu ci sia anda­ta vicino », disse con un filo di voce Gaby cercando d’alzarsi, « Ho sentito dire, che ultimamente le sette di magia nera si servono dei computer per i loro sortilegi, forse qualcuno si è sbagliato e l’anima di qualche dannato è venuta a trovare noi, invece che la medium » ma la sua osservazione non piacque per niente a Sophie.
« Che scemenza, adesso ci sarebbero persino i fantasmi nel computer. Voi delle facoltà umanistiche vi fate sugge­stio­nare da ogni diceria. Piuttosto, se trovo l’idiota che ci ha fatto questo scherzetto, giuro che lo rovi­no per sette generazioni a venire ».
« Che fai Desirée, lo riaccendi? » domandò spaventata Gaby.
« Certo, altrimenti come scopriamo chi è stato a farci questo scherzo di merda? »
« Aspettate, ascoltatemi un attimo », insistette ancora tremante Gaby « Non è il caso di prendere l’accaduto troppo alla leggera, non dimen­ticatevi che il computer era spento, non si è trattato di uno scherzo, là dentro c' era davvero qualcosa e forse c’ è ancora ».
« Che cavolo vuoi che faccia altrimenti, devo fare esor­cizzare il com­puter? » le rispose scocciata Desirée, poi scotendo la testa aggiunse.
« Assurdo ».
« Dai! Ora va di nuovo », esclamò Sophie entusiasta.
« Voi state giocando col fuoco. Il computer era spento, non vi ba­sta?! »
« No! » le risposero in coro, intanto Desirée digitava nuovamente la strana pa­rola senza otte­nere alcuna reazione.
« Non succede più niente » notò quasi delusa So­phie, difatti, no­nostante i vari tentativi non apparve nulla sullo schermo, il computer assolveva alle sue usuali funzioni in modo ineccepibile. Desirée aprì e chiudesse velocemente una serie di file e finestre per controllare che fosse tutto a posto e lo era.
« No, non c’è più niente, non s’è mai visto un virus che va e viene. Se non altro, il cervellone sembra non avere subito danni. Forse è meglio che andiamo a mangiarci qualcosa e cerchiamo di capire cosa è successo » concluse Desirée spegnendo definitivamente il computer « Lasciamolo riposare un po’ ».
Scesero in soggiorno e si lasciarono cadere nelle poltrone fiaccate dallo spavento che stavano abilmente nascondendo a se stesse. Era preferibile discutere la questione davanti ad una ciocco­lata calda e qualche fetta di torta sfidando con indomito coraggio calorie, diete e demoni vari.
Sophie scelse il divano, che occupò interamente allungando le belle gambe, stava per lamentarsi della copertina di pelliccia spelacchiata poggiata sullo schienale, ma all’ultimo momento si rese conto che era Pirata, il gattone violento di Desirée, che dormiva imperturbato come sempre, per ogni evenienza preferì sistemarsi fuori dalla portata dei suoi artigli.
« C'è chi legge nel fondo di caffè », suggerì a mezza voce Gaby, guardando pensierosa nella propria tazza, Sophie sorseggiando il caffè le fece garbatamente notare.
« Non mi sembra molto razionale ».
Desirée allungò le gambe sulla poltrona che le stava di fronte, spiegando. « Qualche giorno fa, sono venuti a trovarmi due colleghi per confrontare alcuni dati, ho dovuto lasciarli da soli per un certo tempo. Uno di loro ha la mania dell’elettronica, perciò non è da escludere che possano avere installato da qualche parte un semplice di­spositivo, capace di supplire per alcuni istanti alla man­canza d’ener­gia. In fin dei conti non si è trattato che di qualche secondo. Tra l’altro uno di loro non molto tempo fa è stato vittima di uno dei miei diabolici scherzetti ».
« Davvero? », chiese Gaby, evidentemente sollevata. Desirée annuì sorridendo, dal volto traspariva una grande stanchezza, le ore passate davanti al pc avevano lasciato il segno.
« A proposito, stavo quasi dimenticando di dirvi, che mi hanno invita­to ad un’altra di quelle feste molto eleganti che a voi non piacciono, chiedendomi di portare qualche amica, sono quasi tutti giovani manager, quindi mancano le donne », annunciò Sophie cambiando argomento.
« Sophie, sai che non è il tipo di società che ci piace, inoltre all’ultima festa del genere dove ti abbiamo accompa­gnata c’erano soltanto microscopiche schifezzuole molto chic da mangiare ed io sono rimasta letteralmente a digiuno, non ho molta simpatia per l’alta cucina », le rispose Gaby ancora offesa.
« Le tartine con gamberi e caviale non erano male, non trovate? » Obiettò Sophie cercando di salvare il prestigio della festa.
« Se non se le fosse mangiate tutte Desirée, forse ».
Desirée sorrise al ricordo e domandò.
« Ma davvero sembro cafona? ».
« No tesoro, si vede che hai ricevuto un’ottima educazione che per ragione di quotidiana comodità non applichi. In ogni modo non vi sembra di avere superato l’età in cui si va ai ricevimenti solo per mangiare? Ma che sta succedendo là fuori? »
« Finché non s’ingrassa, perché no? Credo che sia Falstaff, che sta nuovamente infasti­dendo il cagnetto della signora Fayette » spiegò Desirée sbadi­gliando.
« Come la odio! », sbottò Gaby, mentre si precipitava fuori verso i rumori sospetti.
« Lascia, forse lo ammazza » le gridò dietro Desirée, ma Gaby era già uscita. Desirée si strisciò stancamente indietro i capelli « Ho studiato troppo, penso che verrò, se non altro per fare qualcosa di diverso ».
Pirata decise finalmente di muoversi, saltò giù dal divano dirigendosi verso la porta, erano anni che dava la caccia a quel cocker, prima o poi l’avrebbe trovato solo.
« Com’è che il tuo gatto è sempre di pessimo umore, che gli fai? », osservò distrattamente Sophie vedendolo avviarsi verso la porta. Desirée rispose con un’alzata di spalla.
« Niente, è solo che vorrebbe comandare lui, ma nessuno gli dà retta, e questo lo manda in bestia » Sophie ridacchiò.
« Okay, allora passo a prenderti, » e con un sorriso aggiunse « Non mi soffiare gli uomini migliori però.» Ma Desirée sbuffò.
« Quelli non risvegliano il mio istinto di caccia ».
« Dai, che forse qualcuno decente c’è, se non altro non sono dei morti di fame e comunque anche se non lo vuoi ammettere tu ti diverti, è solo che non sono come li vorresti tu.  Ciao ». Desirée alzò le spalle, forse Sophie aveva ragione e mettendo le mani nei capelli brontolò.
« Dovrei anche andare dal parrucchiere, ma no, li lego così non si vede niente » e si lasciò sprofondare nella poltrona.
Dall’esterno intanto giungevano oltre all’abbaiare dei cani anche le voci delle rispettive padrone, sembrava pro­prio che Gaby stesse sfogando lo spavento sulla vecchia ed acida vicina di Desi­rée. Così, quando la lite terminò, la signora Fayette era più inve­lenita che mai, anche se probabilmente d’ora innanzi si sarebbe ben guardata dall’insultare gratuitamente la furia rossa, che prima di andarsene aveva sferrato un sonoro cal­cio al suo adorato cocker, proprio quando la bestiola tentava di morderla a tradimento. Pirata tornò indietro verso il divano, troppo trambusto per potere agire, la cosa lo mise di cattivo umore tanto per cambiare.

La vecchia Osteria, 2

domenica 6 febbraio 2011

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« Altroché » confermò Sophie « Tu pensa che per liberami delle cattiverie di una stronza del genere, ho dovuto fare andare in bancarotta con delle appropriate soffiate il padre, altrimenti mi avrebbe avvelenato la vita, così si sono dovuti trasferire altrove ». Gaby era rimata a bocca aperta, non avrebbe mai pensato che quel genere di tormento esistesse anche nelle scuole dorate dell’alta borghesia, intanto Desirée commentava.
« Comunque io per quella bravata del motorino ho avuto dei problemi con i miei amici, perché le fiamme hanno annerito il super graffito sul muro del motorino, e loro non lo avevano ancora fotografato. Anche quelli erano mezzi scemi, che aspettavano a fotografarlo? »
« Senti Desirée, hai mai fatto vedere a Sophie le foto di quando eri Punk? » Sophie scosse decisamente la testa facendo volare per l’aria i suoi curatissimi riccioli biondi.
Desirée aprì un cassetto e dopo poco ne trasse fuori una foto, che porse senza troppo entusiasmo a Sophie.
« E tu quale saresti? » domandò lei non riuscendo a riconoscere l’amica tra i tre truci individui raffigurati sulla foto, poi la riconobbe: era quella col tutu nero ridotto a brandelli sotto la pesante giacca di pelle. Esclamò.
« Quella col tutu », Gaby scoppiò a ridere, stava per dire qualcosa ma un grido di Desirée interruppe la conversazione.
« Un virus! Te l'avevo detto », esclamò Sophie scat­tando a sedere per vedere cosa stesse accadendo.
Dal Monitor era scomparso tutto ed al centro lampeggia­va una strana scritta rossa:  "Uhtfloga".  Desirée fissava a denti stretti con estremo odio lo schermo, quasi stesse ringhiando.
« Ditemi che non è vero! »
« Il bello di questi giochetti è che più uno tenta di eli­minarli, più gli facilita l’ingresso in altri sistemi. Pensa Desirée, molto probabilmente in quest’istante si sta diffon­dendo ad incredibile velocità, distruggendo tutti i dati della memoria centrale, tutto il tuo faticoso lavoro. Il frutto dei tuoi lunghi ed estenuanti studi, il tuo futuro, e tutto il resto possibile ed immaginabile » commentò con fare melodrammatico Sophie potandosi le mani al voluminoso petto, ma l’amica la fulminò con un’occhiataccia.
« Hai finito!», mentre tramite la tastiera tentava di spengere il computer « Maledizione, non si spegne », con rabbia pre­mette l’interruttore, senza ottene­re un risultato migliore.
« Si è bloccato », constatò seccata « Gaby stacca la presa, è vicina a te ».
« Non credo che risolverai molto spegnendo, dato che è ap­parso sullo schermo, molto probabilmente il virus avrà già contaminato il disco fisso », osservò Sophie divenuta infine se­ria.
« Gaby, si può sapere quanto ci metti a staccare quella maledetta presa? », imprecò Desirée.
« Veramente… io ho già staccato tutto quello che si po­teva staccare, anche la radio ».
Desirée non le credette e s’arrabbiò ancora di più, si chinò sotto il tavolo per controllare, poi fissò stupita le altre due.
« Dite, vi risulta che sia stato inventato un virus capace di fare fun­zionare un computer senza corrente? ».
« No, ma riuscendo a trasporre questa caratteristica su un programma normale si potrebbero fare soldi a palate. Un computer che funziona senza corrente è sempli­cemente fantastico », esclamò Sophie venendo ad appurare di persona. « Bellissimo! »
« Ma non riesci a pensare ad altro che ai soldi? », chiese sinceramente sconfortata Desirée, che invece aveva a cuore le sorti del proprio pc.
« Desy, sei sicura che in que­sta confusione non ci sia ancora una qualche presa inserita? » Domandò perplessa Gaby.
    « Credi che non sappia nemmeno quante prese ci so­no nella mia stanza? Qualcuno sa che cazzo significa quella maledetta parola, almeno la smettesse di lampeggiare! Mi snerva, maledizione! ».
« Il fatto che ti sia arrabbiata non giustifica un linguaggio simile, né tanto meno la perdita dell’autocontrollo » le fece elegantemente notare Sophie.
« Se ha distrutto il programma e i dati, sono sei mesi di lavoro che vanno a farsi fottere, posso ricominciare a scrivere la tesi da capo, non so se mi sono spiegata. E tanto per capirci in una circostanza simile io non mi modero per niente, e uso il peggior linguaggio da caserma che conosco. Chiaro? »
« Usa la testa invece e cerchiamo di capire che cosa sta succedendo » le suggerì Sophie restando calma, così Desirée si risedette al computer brontolando parolacce varie.
« Assurdo, devo mettermi a un computer che in teoria do­vrebbe essere spento, che faccio? »
« Non saprei, prova a ridigitare la parola ».
« E' questo il cosetto per fare par­lare il computer? », e senza attendere una risposta, Gaby pre­mette il pulsante, ed il computer cominciò a ripetere con voce metallica e di­storta la parola.
Desirée intanto aveva inserito lo strano nome ed imme­diatamente con gran sollievo delle ragazze la scritta scomparve e lo schermo divenne completamente nero.
« Perché continua a ripetere quella parola invece di starsi zitto, ora che è sparito tutto? », domandò giustamente Gaby alle altre due, che scrutavano sospettose il monitor, dove intanto erano apparsi due piccoli puntini rossi che andavano ingrandendosi. Il computer aveva smesso di sillabare la strana parola, adesso formulava intere frasi con voce sempre meno elettronica e artefatta, sempre più possente.
I due punti continuavano ad ingrandirsi assumendo l’aspetto di due occhi rossi che fissavano intensamente le ragazze. Gli occhi erano molto realistici celavano in sé una viva intelligenza, seminascosti dal manto di un uomo incappucciato che stringeva tra le mani un bastone nodoso, non cessavano d’avvicinarsi, tanto che infine lo schermo non poté contenerne che uno solo. La vo­ce non aveva più niente d’elettronico, ma era divenuta rauca e gutturale, talmente alta da rimbombare per tutta la stanza facendo vibrare i vetri. Falstaff con maggiore prontezza di tutti scappò dalla stan­za.
Le ragazze fecero per seguirlo, ma Desirée nel tentativo di allontanarsi più in fretta cadde dalla sedia; però, così com’era venuto, scomparve tutto, lasciandole attonite e im­mobili a fissare il monitor spento. Sophie, aveva già raggiunto la porta, senza essere riuscita a girare la maniglia, non essendosi accorta che il princi­pale impedimento era costituito da Gaby, che nel tentare la fuga era inciampata su Falstaff e aveva fato chiudere la porta sulla quale era caduta.

La Vecchia Osteria 2

sabato 5 febbraio 2011

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« Ciao Desirée. Guarda: ho il calendario completo degli avvenimenti culturali dell’estate! » proruppe Sophie, l’altra si alzò con un radioso sorriso e l’abbracciò, dicendo subito dopo.
« Ciao Sophie, ti spiace se finisco un attimo? »
« No, figurati! Io intanto inserisco i miei impegni sociali, così sapete fin dall’inizio la mia disponibilità ».
« Si vede che stiamo invecchiando, diventa sempre più difficile fare coincidere il nostro tempo libero, siamo donne impegnate ormai », ironizzò l’amica, ma non scalfì lo snobismo di Sophie.
« Ma quale vecchiaia, io sono sempre stata socialmente impegnatissima fin da bambina ». L’altra le lanciò un’occhiata di sincera commiserazione ripensando alle scorribande giovanili e alla totale libertà di cui aveva goduto da bambina, era stata un maschiaccio e in qualche modo si vedeva ancora, per questo precisò con orgoglio..
« Io invece sono sempre riuscita a scansare gl’impegni, l’unica cosa che non sono riuscita ad evitare è stata la scuola, impari presto che non si può avere tutto nella vita ».
« Tesoro, ma che hai fatto ai capelli? » Constatò in quel momento Sophie.
« Niente, un esperimento venuto un po’ male », minimizzò l’altra, Sophie preferì non approfondire di che genere di esperimento si fosse trattato e tornò al futile.
« Ti piace questo smalto? È in tinta con l’abito, esattamente due tonalità più chiare, un capolavoro». Desi­rée diede un’occhiata di sfuggita allo smalto sorridendo in segno d’assenso e a bassa voce continuando a fare scorrere le dita sulla tastiera si complimentò.
« Bel colore, mi piace. Gli smaltini blu mi sono finiti, devo ricomprarli », intanto con aria leggermente indispettita guardava il monitor.
Sophie, distratta da una rivista d’alta moda, si sdraiò comodamente sul letto di Desirée.
« Qualcosa non va? Ti ho fatto sbagliare? ».
« No, no, tu non c’entri. È tutta la mattina che si comporta in modo un po' sospetto ».
« Se continui a crackare programmi ovunque, prima o poi ti ritrovi con un bel virus tipo aids o una bella denuncia, a seconda della sfiga. Quelli della Finanza però in genere sono carini, almeno ci sarebbe un lato positivo nella cosa », rifletté un attimo, forse era più probabile che la finanza un giorno si sarebbe presentata da lei, scosse la testa, meglio la moda del fisco.
« Questo programma l'ho fatto io, cioè l’ho modificato. Comunque non è questo il pro­blema, quello che mi fa arrabbiare è che i dati elaborati corrispondono solo in parte a quello che vorrei, cosa che non riesco a capire e quando io non riesco a capire una cosa… ».
« Non ti sprecare a spiegarmela. Non ho mai capito niente di fisica, gli unici calcoli che mi riescono so­no quelli connessi al denaro, in particolar modo quello che mi entra in tasca. Ti ho detto che sono riuscita ad acca­lappiare Jean-Claude? ».
Desirée intanto si era alzata e sporgendosi sopra la scri­vania guardava dall’ampia finestra.
« Bello! Stanno arrivando Gaby e Falstaff! », poi voltandosi verso Sophie, s’informò incuriosita.
« Come hai fatto a strappare il bamboccio a quell’oca d’Ester ».
« Io sono una persona sportiva, tutto qui. Lei invece non è altro che un’oca possessiva, il ché significa che con una rivale del genere non mi sono divertita più di tanto. Sai alle volte ho pensato che sarebbe eccitante una gara tra noi due ». Desirée sorrise divertita immaginandosi la gara.
« Credi che esista un uomo che valga un’amicizia? Finiremmo col litigare, perché a nessuna di noi due piace perdere, inoltre non mi viene in mente nessuno che potremmo giocarci ».
« Già il tuo ultimo passatempo è stato silurato come dici tu. Tesoro dovresti avere più pazienza: bisogna curare una relazione, o almeno fare finta di farlo. Certo che oggi giorno pubblicano degli straccetti importabili, poi tutte queste stronzette anoressiche che si credono belle! Inguardabili, la morte che veste l’ultima moda.» A Desirée non sembrò avere dato fastidio l’ironica allusione dell’amica, per cui rispose allegramente.
« Ma per favore, era uno scassapalle senza eguali, adesso fa anche la vittima, dice che gli ho spezzato il cuore, che mollusco! ». Sophie scoppiò in una risata argentina e chiuse finalmente la rivista, che in qualche modo non l’aveva soddisfatta.
« Come? Non l’hai aiutato a ritrovare la gioia di vivere e a superare le sue paure e problemi con la tua comprensione e la tua abnegazione? Grazie al vostro amore avreste potuto superare tutte le vicissitudini ed ostacoli di questo cattivo e crudele mondo. Non sei andata dove ti porta il cuore! Angelo del focolare che fai non svolazzi? Sarebbe stato così semplice: bastava chiudere intelligenza e dignità in un cassetto e passare il resto dei giorni ad applaudire ogni scemenza che dice l’ebete, è questo che piace agli uomini, se te ne vuoi tenere uno è così che devi fare; l’idolatria» E portandosi al cuore la rivista che teneva ancora in mano mimò i modi delle ragazzine « Oh! Mi ha guardata! », poi riassumendo l’aria distaccata che la contraddistingueva concluse seccamente. « E comunque da quando in qua gli uomini hanno un cuore? », riaprì la rivista, i gioielli non erano male e portabilissimi, specie quelli più costosi. Desirée non poté fare a meno di scoppiare a ridere assistendo a quella sceneggiata, infine commentò.
« Se c’è una particolarità che il mio cuore non ha è l’essere scemo, comunque ne diceva molte d’idiozie. Vada a rompere l’anima a qualcun altro. Accidenti, questo coso ricomincia a fare storie, forse è il caso di spegnerlo e continuare domani. Uno i ragazzi sé li tiene per divertirsi non per farsi assillare e angosciare dalle loro paranoie, ma che scherziamo! »
« Forse abbiamo entrambe il grilletto troppo facile, ma onestamente penso che sia salutare ». La porta si era im­provvisamente spalancata ed un vivacissimo terrier gigante era schizzato all’interno, saltando subito sul letto tra le braccia di Sophie, mentre la sua padroncina si era fermata sulla soglia.
« Ciao a tutti! Dal luccichio peccaminoso negli occhi di Sophie de­sumo, che state nuovamente parlando di giocat­toli ».
Era minuta e i capelli corti rosso fuoco sembrava­no fatti apposta per marcare il carattere impertinente, conosceva Desirée da sempre, già i loro nonni erano stati amici: due lupi di mare che avevano avuto come ultimo discendente due ragazze, una più ribelle dell’altra.
Gaby atte­se per un attimo una risposta da Sophie, che però era troppo intenta a sottrarsi alle effusioni d’af­fetto di Falstaff, così poggiò a terra lo zaino dai colori forti e dopo avere abbracciato Desirée andò a sedersi su una sedia girevo­le accanto a lei, che con aria allegra le annunciò la novità ben sapendo quale sarebbe stata la reazione..
« Lei ha un nuovo ragazzo, quello d’Ester».
« Ester chi? »
« L’oca che vorrebbe essere d’alta società, non eravate nella stessa classe? », intervenne Sophie che ancora non riusciva a liberarsi dal cane.
« Uh si, ma quella più che un’oca è una serpe, non fa­ceva altro che copiare da me, poi andava in giro raccontando che se non fosse stato per la sua magnifica generosità, sarei stata bocciata. Come l' ho odiata. Mi fa piacere sapere che sei riuscita a fregarle il fidanzatino di sempre. In ogni caso, grande Sophie! ». Sophie invece fu sorpresa da quella reazione.
« Come mai ce l’ hai tanto con lei? Una banale poveraccia ».
« Adesso! Ma avresti dovuto vederla a scuola, ha persino litigato con Desirée » Desirée alzò le spalle indifferente, non era difficile litigare con lei, spiegò.
« Mi ha dato della cafona ».
« Ordinaria, ti ha definito, e non per seminare zizzania ma continua a dirlo. ».
« Ma la storia motorino ha a che fare con lei? » s’informò Sophie.
« Sì, sai » s’interruppe un attimo per schiarirsi la voce e nascondere la vergogna che quel ricordo le provocava « a scuola c’erano diverse tipe che facevano capo a Ester e si riunivano i gruppetti molto chiusi, vincenti, sembrava che sapessero fare tutto loro. Io all’epoca ero molto affascinata dalla sua combriccola e le chiesi di diventare amiche » Sophie alzò le spalle a significare che la cosa sembrava perfettamente normale, ma Desirée le fece cenno di attendere la fine del racconto, e, infatti « Mi dissero che per diventare dei loro dovevo perdere almeno cinque chili » Sophie strabuzzò gli occhi, tra le tre era lei la più formosa e bisognosa di perdere chili, volendo, ma Gaby era uno scricciolo.
« A quel punto sono rinsavita, mi sono resa conto che stavo tradendo i nobili ideali dei miei padri… »
« Il comunismo, partigiani » l’interruppe Desirée per chiarire la situazione a Sophie.
« Per diventare amica di quattro stronzette snob vestite da puttanelle ed essere accettata dai loro amichetti senza cervello », concluse Gaby.
« Che vi credete che si diventa stronzi da un giorno all’altro, c’è chi comincia da piccolo, quelle erano prove generali per futura discriminazione sociale » s’intromise nuovamente Desirée continuando a scrivere al suo pc.
« E allora che hai fatto? » Chiese sinceramente colpita Sophie.
« Le ho dato fuoco al motorino, o meglio ci stavo provando, perché non è così facile come potrebbe sembrare, quando è arrivata lei e mi ha aiutata. Un botto fantastico ».
« I giochetti col fuoco mi sono sempre riusciti molto bene » commentò orgogliosa Desirée e con un’ alzata di spalle aggiunse « D’altronde mio nonno era riuscito ad incendiare l’Atlantico », Gaby la fulminò con lo sguardo, spingendola a riprendere a scrivere mortificata al suo pc e cambiò prontamente argomento dicendo.
« Non sai come ti invidio Sophie, tu come figlia di un banchiere non avrai avuto di questi problemi ».
« Fesserie, sono cose che succedono a tutti » intervenne più duramente Desirée, alla quale lo strisciante classismo dell’amica dava fastidio, era la stessa cosa del razzismo: non era bello.

nuovo inizio

mercoledì 2 febbraio 2011

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Chi ben comincia è a metà dell'opera. Forse questo il nostro autore non lo sa, perché riscrive l'inizio alla fine dell'opera, e noi povere creature, mostri indifesi, che l'avevamo già pubblicato, ci facciamo la solita figura di...
però dato che ha cambiato molto, abbiamo ben pensato di ripubblicarlo.
Qualcuno lo fermi.

""La Vecchia Osteria.

Nel frattempo in un misterioso mondo molto lontano dal nostro, in un luogo chiamato Normandia, era una bellissima giornata primaverile inondata di Sole e traboccante di fiori dai colori più svariati.
Una scattante decappottabile rosso fuoco risaliva spedita la stradina che si snodava serpeggiando lungo il fianco della collina cosparsa di graziosi villini bifamiliari.
La vettura si fermò in fondo alla strada senza uscita davanti ad un pittoresco edificio, che sembrava sopportare con stoica rassegnazione il peso dei secoli. Abeti altrettanto vecchi lo sovrastavano proteggendolo dal vento freddo proveniente dal vicino mare che si apriva immenso oltre il dorso della collina.
Era una romantica dimora d’altri tempi, si distingueva dalle circostanti villette di nuova costruzione per le forme irregolari marcate dai massicci bloc­chi di pietra dei muri e dal pesante tetto di paglia, i tanti fiori sui davanzali e nel giardino antistante le conferivano un’aria allegra. Gl’infissi erano stati verniciati di blu accesso, quasi a volere imporre un tono di modernità al vecchio edificio per mantenerne l’estetica al passo coi tempi. Accanto al cancelletto d’entrata, seminascosta da grossi cespugli di rododendro in fiore, era stata fissata la vecchia insegna di una locanda sulla quale si riconosceva a malapena un vecchio veliero sbiadito e un invitante boccale di birra, in passato aveva invitato i passanti ad entrare nella locanda, ora era stata declassata a qualcosa di simile ad un nano da giardino.
Dalla vettura scese un’elegante ragazza con indosso un attillato tailleur azzurro sgar­giante che evidenziava più del dovuto il fisico prorompente. I riccioli biondi, illumi­nati dai raggi del sole ancora freddi, ri­splendettero un attimo prima di scomparire all’interno dell’ abitazione, dove entrò senza bussare.
« Buongiorno Sophie! Desirée è di sopra », la salutò al suo arrivo una voce calma e posata che sembrava prove­nire dal lato opposto della casa.
La ragazza si fermò sorpresa nell’ampio vano, che in passato era stato una locanda e oltre al vecchio bancone ne conservava ancora il caratteristico fascino, tentò di capire dove fosse la padrona di casa e come avesse fatto a vederla, poi però, senza dare ulteriore peso alla questione, si limitò a rispondere al saluto e salì in fretta i ripidi gradini che portavano al piano superiore dove risuonavano le note graffianti di Purple rain di Prince.
Giunta a metà corridoio, aprì una massiccia porta cigolante e d’un tratto l’intero scenario intriso di rassicurante romanticismo scomparve, nasco­sto da un imponente schiera­mento di computers disposti su una lunga scrivania che prendeva tutta la larghezza delle finestre a piccoli riquadri che si affacciavano sulla valle sottostante. Da quella posizione non si vedevano i tetti delle moderne villette, lo sguardo poteva spaziare libero sui boschi antistanti, mostrando un panorama che non doveva essere cambiato molto negli ultimi secoli.
Davanti ad un grande schermo a cristalli liquidi, sedeva una ragazza dalla folta chioma scura disordinatamente raccolta sulla nuca da un vecchio mollettone a forma di farfalla con tanti sbrilucichini colorati, che si affrettò a fare sparire per evitare imbarazzanti commenti da parte dell’amica sofisticata. La sua bellezza non era prorompente, i lineamenti erano delicati e regolari, si sarebbe detto un volto comune, se non fosse stato per gli straordinari occhi grigio-blu dalla luce intensa sui quali le lunghe ciglia gettavano un’intrigante ombra. Nel complesso aveva un aspetto tranquillo: alta, vestiva con semplicità, vecchi jeans e un maglioncino slabbrato viola.
 Le due ragazze erano amiche da tempo, si erano conosciute alla scuola di danza, dove erano state mandate Desirée per ingentilire i modi da maschiaccio e Sophie per semplice convenzione sociale, una aveva scelto danza classica, l’altra moderna. Sophie però ben presto si era resa conto che il detto “Il tempo è denaro” non è solo un modo di dire, ma la pura realtà, e la danza le sembrò oltre che una perdita di tempo anche di denaro, così ancora prima di raggiungere la maggiore età concentrò i suoi interessi sull’azienda di famiglia: la banca, promettendosi di diventare uno dei più giovani e promettenti banchieri che la sua famiglia avesse sfornato negl’ultimi tre secoli di attività, lasciando la danza era subito aumentata di qualche chilo, ma era cresciuto in modo esponenziale anche il suo conto in banca.
In modo simile aveva smesso anche Desirée, probabilmente influenzata dall’amica. Il distacco era stato più graduale, ma simile, era cominciato con l’esclusione dal saggio perché troppo alta, per consolarla il nonno l’aveva portata con sé in mare, risvegliando così tutt’altri interessi, finché un giorno si era accorta che c’erano cose che l’affascinavano di più come la fisica e l’ingegneria navale, e così accadde che l’armonia dell’universo prendesse il posto degli accordi musicali e gli scritti di Einstein sostituissero Tchaikowsky e le eteree nuvole di tulle che l’avevano accompagnata fino ad allora
La passione era tale da farla sprofondare completamente nello studio, così che ogni tanto bisognava andare a tirarla fuori dal suo covo, come stava appunto facendo Sophie.
Del comune sogno della danza non era rimasta che una grande foto in bianco e nero in cui Desirée non sembrava nemmeno lei, infatti era stata la madre ad appenderla. A Sophie quella foto piaceva molto, perché le ricordava una frase detta dall’ amica in un momento di malumore: “ Come ragazza ti affacci al mondo in punta di piedi in abiti candidi, poi però ti accorgi che devi comprarti gli scarponi chiodati e prendere il mondo a calci in culo”, condivideva a pieno quell’impostazione, anche se agli scarponi preferiva uno stuolo di avvocati strapagato: fanno più danno. Forse entrambe non erano riuscite a perdonare al mondo di avere spezzato i loro sogni di adolescenti e averle fatto smettere di danzare.