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Malus I, La Vecchia Osteria 1

Malus I, La Vecchia Osteria 1

sabato 5 marzo 2011

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Nel frattempo in un misterioso mondo molto lontano dal nostro, in un luogo chiamato Normandia, era una bellissima giornata primaverile inondata di Sole e traboccante di fiori dai colori più svariati.
Una scattante decappottabile rosso fuoco risaliva spedita la stradina, che si snodava serpeggiando lungo il fianco della collina cosparso di graziosi villini bifamiliari.
La vettura si fermò con una sonora frenata in fondo alla strada senza uscita davanti ad un pittoresco vecchio edificio, che sembrava sopportare con stoica rassegnazione il peso dei secoli. Abeti altrettanto vecchi lo sovrastavano proteggendolo con le fronde scure dal vento freddo proveniente dal vicino mare che si apriva immenso oltre il dorso della collina.
Era una romantica dimora d’altri tempi, si distingueva dalle circostanti villette di nuova costruzione per le forme irregolari marcate dai massicci bloc­chi di pietra dei muri e dal pesante tetto di paglia, i tanti fiori sui davanzali e nel giardino antistante le conferivano un’aria briosa. Gl’infissi erano stati verniciati di blu accesso, quasi a volere imporre un tono di modernità al vecchio edificio per mantenerne l’estetica al passo coi tempi. Accanto al cancelletto d’entrata, seminascosta da grossi cespugli di rododendro in fiore, era stata fissata la vecchia insegna di una locanda sulla quale si riconosceva a malapena un vecchio veliero sbiadito e un invitante boccale di birra, in passato aveva invitato i passanti ad entrare nella locanda, ora era stata declassata a qualcosa di simile ad un nano da giardino.
Dalla vettura scese un’elegante ragazza con indosso un attillato tailleur azzurro sgar­giante che evidenziava più del dovuto il fisico prorompente. I riccioli biondi, illumi­nati dai raggi del Sole ancora freddi, ri­splendettero un attimo prima di scomparire all’interno dell’ abitazione, dove entrò senza bussare.
« Buongiorno Sophie! Desirée è di sopra », la salutò al suo arrivo una voce calma e posata che sembrava prove­nire dal lato opposto della casa.
La ragazza si fermò sorpresa nell’ampio vano, che in passato era stato una locanda e oltre al vecchio bancone ne conservava ancora il caratteristico fascino, tentò di capire dove fosse la padrona di casa e come avesse fatto a vederla, poi però, senza dare ulteriore peso alla questione, si limitò a rispondere al saluto e salì in fretta i ripidi gradini che portavano al piano superiore dove risuonavano le note graffianti di Purple rain di Prince.
Giunta a metà corridoio, aprì una pesante porta cigolante e d’un tratto l’intero scenario intriso di rassicurante romanticismo scomparve, nasco­sto da un imponente schiera­mento di computers disposti su una lunga scrivania che prendeva tutta la larghezza delle finestre a piccoli riquadri che si affacciavano sulla valle sottostante. Da quella posizione non si vedevano i tetti delle moderne villette, lo sguardo poteva spaziare libero sui boschi antistanti, mostrando un panorama che non doveva essere cambiato molto negli ultimi secoli.
Davanti ad un grande schermo a cristalli liquidi, sedeva una ragazza dalla folta chioma scura disordinatamente raccolta sulla nuca da un vecchio mollettone a forma di farfalla con tanti sbrilucichini colorati, che si affrettò a fare sparire per evitare imbarazzanti commenti da parte dell’amica sofisticata. La sua bellezza non era prorompente, i lineamenti erano delicati e regolari, si sarebbe detto un volto comune, se non fosse stato per gli straordinari occhi grigio-blu dalla luce intensa sui quali le lunghe ciglia gettavano un’intrigante ombra. Nel complesso aveva un aspetto tranquillo: alta, vestiva con semplicità, vecchi jeans e un maglioncino slabbrato viola.
 Le due ragazze erano amiche da tempo, si erano conosciute alla scuola di danza, dove erano state mandate Desirée per ingentilire i modi da maschiaccio e Sophie per semplice convenzione sociale, una aveva scelto danza classica, l’altra moderna. Sophie però dopo poco si era resa conto che il detto “Il tempo è denaro” non è solo un modo di dire, ma la pura realtà, e la danza le sembrò oltre che una perdita di tempo anche di denaro, così ancora prima di raggiungere la maggiore età concentrò i suoi interessi sull’azienda di famiglia: la banca, promettendosi di diventare uno dei più giovani e promettenti banchieri che la sua famiglia avesse sfornato negl’ultimi tre secoli di attività, era subito aumentata di qualche chilo, ma era cresciuto in modo esponenziale anche il suo conto in banca.
In modo simile aveva smesso anche Desirée, probabilmente influenzata dall’amica. Il distacco era stato più graduale, ma simile, era cominciato con l’esclusione dal saggio perché troppo alta, per consolarla il nonno l’aveva portata con sé in mare, risvegliando in tal modo tutt’altri interessi, finché un giorno si accorse che c’erano cose che l’affascinavano di più come la fisica e l’ingegneria navale, e così accadde che l’armonia dell’universo prendesse il posto degli accordi musicali e gli scritti di Einstein sostituissero Tchaikowsky lasciando ad un vecchio armadio le eteree nuvole di tulle che l’avevano accompagnata fino ad allora
La passione era tale da farla sprofondare completamente nello studio, così che ogni tanto bisognava andare a tirarla fuori dal suo covo, come stava appunto facendo Sophie.
Del comune sogno della danza non era rimasta che una grande foto in bianco e nero in cui non sembrava nemmeno lei, tra l’altro appesa alla parete dalla madre. A Sophie quella foto piaceva molto, perché le ricordava una frase detta dall’ amica in un momento di malumore: “ Come ragazza ti affacci al mondo in punta di piedi in abiti candidi, poi però ti accorgi che devi comprarti gli scarponi chiodati e prendere il mondo a calci in culo”, condivideva a pieno quell’impostazione, anche se agli scarponi preferiva uno stuolo di avvocati strapagato: fanno più danno. Forse entrambe non erano riuscite a perdonare al mondo di avere spezzato i loro sogni di adolescenti e averle fatto smettere di danzare.

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