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Malus I, Il messaggio 2

Malus I, Il messaggio 2

martedì 22 febbraio 2011

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Il vecchio vate era un po’ pensieroso, nei giorni scorsi sul prato erano più volte comparse delle misteriose rose bianche, appena aveva cercato di toccarle si erano dolcemente richiuse ed erano scomparse, il ché costituiva un evento anomalo che lo aveva incuriosito.
Stava ancora rimuginando sul fenomeno, quando inaspettatamente vide l’intera collina ricoprirsi nuovamente di rose, ma questa volta erano rosse come il sangue. Gilduin sorpreso, emise un lungo sbuffo di fumo, non era mai accaduto che un unico genere di fiori coprisse l’intera collina, per giunta di quel colore… Prese a soffiare un vento caldo, era fastidioso gli seccava la gola, mise via la pipa e si alzò, non gli piaceva: il vento si era levato improvviso, come le rose.
Preoccupato, Gilduin passò tra le rose dirigendosi verso la quercia Ovest, dove nel tronco cavo c’è una piccola fonte d’acqua incantata. I ramoscelli spinosi s’impigliavano nelle vesti, come se lunghe mani artigliate tentassero di trattenerlo, strappando via i vestiti dai rovi, si fece largo tra gli arbusti e quando ebbe finalmente raggiunto la quercia, ed entrato nel tronco cavo, vide con sgomento che la sorgente era rossa di sangue, ebbe un brivido. Cercò di ricordare se in passato avesse sentito narrare di qualcosa del genere, ma non gli venne in mente niente. Di fronte a sé, in quello che era stato il suo posto preferito, c’era solo una pozza rossa, si chinò e annusò il liquido pastoso, era realmente sangue. Cosa poteva avere cambiato l’acqua pura in sangue? Percosse con forza il suolo col suo bastone da druido, pronunciando un contro incantesimo, ma non cambiò niente, se avesse usato un comune manico di scopa sarebbe stata la stessa cosa; aveva la sgradevole sensazione che la sua magia nei confronti di quel fenomeno non sortisse alcun effetto, fosse semplicemente inesistente. Con che cosa aveva a che fare?
Brandendo il bastone, sua unica arma contro quell’oscuro maleficio, si chinò cautamente sulla sorgente nelle cui acque così spesso aveva spiato gli avvenimenti del mondo, non vide nemmeno la sua immagine riflessa, difficile specchiarsi nel sangue, se si ha il cuore puro. L’unica cosa che riuscì a carpire a quella linfa fu un urlo distorto dalla lontananza ripetuto più volte.
« Uhtfolga, Uhtfloga » era la lontana eco della voce di un demone, che tradotto nella nostra lingua significa qualcosa come: colui che vola nella penombra, proseguiva biascicando un oscuro indovinello:
« Volavit volucer sine plumis, sedit in arbore sine foliis… conscendit illam sine pedibus, assavit illum sine igne ».
L’angoscia si fece largo nel suo cuore, in che modo le forze demoniache potevano essere riuscite a contaminare a tal punto la sorgente incantata?
Sgomento Gilduin uscì, e rimase impietrito da ciò che si trovò dinanzi: gli alberi avevano perso le foglie, non vi era più un filo d’erba su tutta la collina. Era come se la morte contenuta in quella voce malefica avesse impregnato le radici delle Querce Sacre, qualcosa stava nascostamente sconvolgendo il nostro mondo.
Il vento adesso sollevava gli steli secchi che erano stati erba e lambiva i sassi. A memoria d’uomo non era successo niente di simile. La natura sembrava moribonda, quello era un infausto presagio di morte, se non proprio la morte stessa. Per la prima volta in vita sua Gilduin si fece prendere dal panico, si agirò inquieto tra i rovi secchi del santuario, pregando, urlando formule magiche e percotendo il suolo col bastone magico, usò tutti gli artifici a lui noti per salvare quel luogo sacro, ma non servì a nulla. La collina si era trasformata in un’altura scarna, sembrava che la vita non l’avesse mai lambita.
Alcune ore dopo, quando Gilduin era ormai prossimo alla disperazione, il fenomeno della voce si ripeté, la seconda volta però non fu un urlo, ma un impercettibile sussurro che canterellava l’antico indovinello.
 « Volavit volucer sine plumis, sedit in arbore sine foliis…. Conscendit illam sine pedibus, assavit illum sine igne…» e poi ripeté tutto di nuovo.
Gilduin si precipitò verso la fonte urlando « Chi sei? ». L’indovinello si ripeté e poi come un timido balbettio disse ancora.  « Penumbra », gli sembrò quasi di cogliere una lontana risatina, poi tutto svanì nel silenzio.
 La collina si ricoprì nuovamente d’erba, fiorirono le rose, gli alberi germogliarono drizzando imperiosamente le possenti chiome al cielo e gli uccelli ripresero a cinguettare e svolazzare giocosi come se niente fosse accaduto. La natura risplendeva superba e spavalda mostrando all’uomo ciò che non era in grado di capire.
Il vecchio Gilduin era confuso, per un attimo credé di avere sognato, ma non era così, si era trattato di un avvenimento reale che era durato diverse ore, non riusciva proprio a capire, andò a controllare ad una ad una le querce, era tutto normale, tutto tranquillo.

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