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Inizio: Malus I, Il racconto del giullare 1.

Inizio: Malus I, Il racconto del giullare 1.

domenica 13 febbraio 2011

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Il racconto del giullare


Chi è costui, vi chiederete voi, ecco mi presento: sono un giullare e quanti mi conoscono, o mi hanno visto solo per pochi minuti, credo siano pronti a giurare che sono pazzo.
Folle, nel vano tentativo di sfidare la magia col solo ausi­lio dell’intelletto. Sognatore, perché credo nella grandezza dell’uomo. Male­detto, perché non affido le mie speranze ad un raggio di Sole. Dannato, perché ho cercato di cancellare i colori dell’arcobaleno lasciando solo il rosso del sangue. Il mio sangue sulle mie mani. Eppure, vi fu un tempo lontano in cui fui principe, figlio di grandi re, in se­guito divenni guerriero, ma le mie armi preferite furon e saranno le parole, messaggere della mia essenza che è sempre stata un’anima di giullare.
Da questa collina verdeggiante guardo le foglie degli alberi vibrare al fresco respiro del vento, e mi torna in mente il suono dei flauti, dei liuti, della mia amata arpa spensierato sottofondo delle chiassose feste delle corti, ma ogni volta che cerco d’abbandonarmi ai ricordi piacevoli, irrompe il fragore scellerato dei campi di battaglia, lo sguardo spietato dei condottieri con i pugni insanguinati stretti sulle spade, ed è inutile negarlo, io ero tra loro.
 Vedo i fianchi della collina dorarsi nella quiete del tramonto, le miriadi di fiori che la ricoprono assumere tinte calde, madide di vita, sento il loro profumo abbracciarmi con forza come a volere diventare la mia stessa linfa vitale; nonostante ciò… ogni sera mi ritrovo qui, seduto sotto questa maestosa quercia, rivolto a nord col cuore proteso verso i confini settentrionali di questo mondo, verso funesto Niflar, il Paese delle Nebbie, che divide la terra degli uomini, dei vivi, il Midgard, dalla terra dei morti, l’Hel. Scorgo in lontananza la bruma scivolare sottile tra gli alti boschi venirmi incontro cercando me, figlio del Paese delle Nebbie che non mi hanno abbandonato; ballavo, cantavo, scherzavo, ma il mio cuore era dominato dalla nebbia, non c’era piacere umano che potesse dissolverla, allontanarla da me, già perché allora non volevo ammettere nemmeno questo: la mia natura elfica e non umana.

Alcune evanescenti saghe c’identificano con gli elfi neri, ma nelle notti d’inverno, quando la bruma arriva a coprire le cime degli abeti, il vento canta il nostro antico nome: eravamo i Nibelunghi, adesso siamo pochi errabondi senza un passato che non sia una confusa leggenda nella stessa legenda.
Io, solitario principe di una stirpe maledetta che fu artefice della propria tragedia, detentrice d’allettanti tesori che altrettante rovine causarono, cosa mi aspetto intravedere nascosto dietro nebbia? Perché bramo ciò che torna portando con sé lo strazio di ricordi incancellabili? Eppure non è solo questo che la bruma reca silente nel crepuscolo, forse vi sto raccontando questa storia, perché penso che sia giunto il momento di tornare indietro nella parte più buia del mio passato e confrontarmi con ciò che più temo: me stesso, riaprendo cicatrici che il tempo non può sigillare e la mente non ha la forza di cancellare, sembrerebbe non avere senso, eppure solo così, forse, riuscirò finalmente a ritrovare la mia anima di giullare persa nelle nebbie dell’odio, essa stessa tenue ombra, nebbia tra la nebbia.

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