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Malus, I. Lo scoccare delle ore, 8.

Malus, I. Lo scoccare delle ore, 8.

sabato 16 luglio 2011

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« Noi te l’avevamo detto ».
« Bimba non deve avere però paura di lui, è tanto buono: ha fatto noi ».
« Fantastico colpo di genio, devo ammetterlo », com­mentò sarcasti­ca Desirée continuando a passeggiare senza dar loro molta retta.
« Noi siamo tanto belli o brutti, dipende dal punto di vi­sta ».
« Ha fatto pure di peggio » osò fare notare uno dei più giovani, prima di essere assalito dai compagni per la mancanza di rispetto nei confronti del padrone.
« Vuoi sentire la nostra etica professionale? » domando uno di loro togliendosi rispettosamente la bava dalla bocca e pulendosi le zampe sul petto.
« Non mi va adesso, un’altra volta ». I mostri si zitti­rono e la guar­darono preoccupati.
« L’ha davvero trattata male, se la bimba è tanto triste ».
« Non vuole nemmeno sentire la nostra bella etica pro­fessionale ».
« Forse a una bimba piacciono di più altre cose, che non siano per forza dei mostri », suggerì uno di loro.
« Non c' è niente di meglio di noi imbecille!».
« Zitto deficiente! 23 ha ragione.» Ebbe così inizio una vivace consultazione, che si trasformò in una piccola rissa, perché uno di loro scivolò sulla bava facendo cadere gli altri, al termine della quale decisero di mostrarle la sala del trono, ma mentre le saltellavano di­nanzi contenti dell’idea, appar­vero due guerrieri ombra.
« Dicono che è ora di pranzo e che non vi potete ancora stancare molto ».
« Dovete andare subito, è il padrone che lo ordina », aggiunse un al­tro tristemente.
« Non fa niente, andremo dopo mangiato », li consolò Desirée allontanandosi nel corridoio buio.

Nel pomeriggio riapparvero i piccoli mostri, ben felici di portarla, come pro­messo, a vedere la sala del trono, parlottavano incessantemente tra loro interpellandola di tanto in tanto riguardo alle loro questioni.
« Ma voi come vi chiamate? » li interruppe d’un tratto Desirée.
« Come sarebbe, come ci chiamiamo? »
« Ognuno di noi è contraddistinto da un numero ».
« Sarebbero i numeri di serie con cui ci ha progettati il padrone », precisò l’anziano, specificando di essere il numero 16.
« Veramente volevo sapere, se la vostra specie ha un no­me ».
« Che cos' è una specie? ».
« Il vostro tipo di mostruosità, come si chiama? »
« Terrificante! » Le rispose il mostro più vicino, ma si prese un pugno per non avere capito a che cosa si riferiva la ragazza.
« Noi non abbiamo un nome », le disse tristemente 27 ingoiando con un singhiozzo la bava che gli colava dagli angoli della bocca.
« Signora, si può essere dei mostri non avendo un nome? » s’infornò ansioso un altro.
« Potresti chiedere al padrone di darci un nome? »
Desirée annuì, pur avendo il presentimento, che se fino ad allora il Prin­cipe della Notte non aveva ritenuto necessario dare un nome alle sue creature, probabilmente non lo avrebbe fatto nemmeno in futuro.
Così ripresero il cammino, con i mostri che, eccitati dall’idea di potere avere un nome, iniziarono ad inventarne innumerevoli, senza pe­rò riuscire a trovare un vago accordo nemmeno sul genere di nome che volevano.
La sala del trono costi­tuiva il nucleo cen­trale intorno al quale si svi­luppava l’intera costruzione, con la sua altezza eccezionale determinava le dimen­sioni e la posizione degli appartamenti privati, che si trovavano ai piani immedia­tamente superiori.
Desirée ed i mostriciattoli dovettero scendere diverse scale per raggiungerne il livello  dell’entrata posta alla fine di un lungo e buio corridoio con minacciose statue in armatura addossate alle pareti, che con la loro mole intimidivano chiunque si fosse soffermato dinanzi a loro, perché inquietantemente realistiche e nell'ombra di ognuna aleggiava silenzioso un Alp.
Ai lati del portale sedevano due leoni di granito nero, quasi sfingi imprigionate nella pietra pronte a scattare in avanti. Risalirono intimiditi gli scalini guardandosi prudentemente dalle due belve che pur essendo di pietra sembravano seguirli con lo sguardo con le fauci fameliche socchiuse pronte ad azzannare.

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